lunedì 5 febbraio 2007

Ius ultimae noctis

Non pensate a me come a un africano. Non pensate che io stia in un posto lontano anni luce da quello che siete, e da quello che fate. Non pensate. Ricordate, ricordatevi di voi, di chi siete, di cosa volete e cosa fate. E pensate che in fondo, ognuno di noi, ognuno di questi abitanti di questo pazzo mondo è, vuole e fa la stessa cosa.

Non serve essere italiani, francesi, americani, cinesi, ruandesi, senegalesi, brasiliani… non serve avere un’appartenenza. Serve essere qualcosa. Serve avere qualcosa dentro, o qualcuno vicino.

Non serve essere italiani per provare quello che si sente a stare vicino ai propri amici, alla propria donna, vicino alla propria famiglia.

Il diritto di ogni uomo di potersi sentire felice a casa sua, non potrà mai essere sancito da dichiarazioni universali tanto efficaci da rendere giustizia al sentimento di sollievo che si prova nella realtà, in questa realtà.

Esistono certe volte nelle quali all’improvviso credi di capire tutto, di avere un’illuminazione fugace: è successo ieri sera, quando all’improvviso mi sono ritrovato in un tavolo di vecchi amici, che hanno smesso per un istante di essere ruandesi, congolesi, africani, per essere semplicemente uomini. E’ come se fossi riuscito a decifrare un codice, come se avendo una chiave di lettura appropriata avessi finalmente capito il perché e il come di tanti comportamenti che fino a un attimo prima ritenevi “differenze culturali”. Tolto lo strato della corazza che ognuno di noi porta addosso, come una specie di divisa, ritrovi le stesse identiche sensazioni in ogni uomo, in ogni parte del mondo. Se per un istante riuscissimo tutti a guardarci negli occhi e a non pensare quello che siamo in funzione di dove abitiamo, di come ci esprimiamo….

Questa compagnia di amici, una come tante possono essercene in giro per il mondo era composta da 4 amici che da più di 15 anni non si rincontravano tutti insieme, e non chiacchieravano del più e del meno. Vivono in quattro angoli diversi del mondo, chi emigrato in cerca di fortuna in America, chi in Italia, chi ha fatto fortuna in Burundi, chi è restato a casa… una casa che era di tutti ma che è scoppiata, che non c’è più, almeno per come la ricordavano loro. E’ la fregatura di crescere: non trovi più le stesse cose di quando eri bambino.

E parlando della loro infanzia, parlando dei casi della vita, con il sorriso sulla bocca hanno parlato del loro amico che non c’è più, l’elemento mancante della compagnia, quello che avrebbe potuto raccontarli tutti. Freddy è morto a 35 anni stroncato da una qualche malattia, che non gli ha dato tregua fino all’ultimo. Ma il sorriso sulla bocca non alludeva alla beffa amara del destino; tra le tante disgrazie che possono succedere, una cosa importava, che Freddy fosse morto nel suo letto. In Africa, in questa parte del mondo, in questo pezzo di terra maledetto, morire nel proprio letto, con la propria famiglia accanto, in pace, è una benedizione. E’ ciò che completa un’esistenza, è ciò che dà compimento all’affanno nel quale siamo costretti a vivere. E sia esso in Ruanda, sia esso in Italia, in Francia, in America, in Cina….

1 commento:

Natalia ha detto...

Neri mi ha consigliato di dare un'occhiata al tuo blog,e così ho fatto.Ti farà e già ti sta facendo bene vivere in un posto del genere,ti cambierà nel profondo immagino o sarà semplicemente una bellissima esperienza grazie a cui darai un nuovo valore alle piccole cose.Dovremmo farlo tutti.Continua a raccontare.Natalia