lunedì 12 febbraio 2007

Ho scoperto l'acqua calda!

Sto entrando in un tunnel di Pinball e libri di viaggio, che in fondo sono i più belli (a proposito, consiglio “Vado verso il Capo – 13.000 km attraverso l’Africa” di S.Ramazotti, uno che un giorno ha deciso di viaggiare da Algeri a Città del Capo coi mezzi pubblici..), e ti permettono di startene comodamente nel tuo letto a rposare le gambe e le cervella e contemporaneamente di viaggiare un po’. E poi non è che la Gisenyi by night offra molto di più, ahimé.

Ultimamente, ma non ditelo troppo in giro, mi manca anche un po’ la tv… quella fredda presenza rumorosa che annebbia la mente e stacca il cervello.

Qui, per staccare il cervello, per ora mi basta una chitarra, portata da Paola come trofeo italiano, da me strimpellata con gusto e passione (andiamo dalle classiche canzoni scout a arrangiamenti punk di Battisti, fino ad inerpicarsi i nuovi e complicatissimi arpeggi congolesi…). Sto addirittura andando un paio di volte a settimana a suonare con i ragazzi del centro Abadahogora, quelli che suonano e ballano. Mi metto li, con la chitarra elettrica, un basso e una batteria alle spalle, e sfogo in un Hotel California la mia voglia di festa e di whisky and coca che tanto mi fanno penare. Ma quant’è bello sentire che se sbagli un accordo Sudi fa una rullata in più sulla batteria, e tutto ricomincia in un loop senza fine, finche le mani non gridano “basta!!!!”

Sto piano piano ricostruendo un me stesso africano, adattandomi ai limiti e alle nuove possibilità. Dopo la scoperta (la continua scoperta direi), è arrivato il momento dell’affermazione del sé, posso finalmente permettermi di aprirmi e di farmi conoscere per quello che sono (che poi non è che io in generale sia una personcina timida), mi permetto perfino di criticare laddove invece consideravo “shock culturale” ciò che mi lasciava esterrefatto.

Sto in pratica scoprendo che tutti noi, uomini e donne di questo o dell’atro mondo (il vostro), abbiamo solo bisogno di momenti di “aggiustamenti strutturali” per riuscire a trovare un binario giusto nel quale inserirsi. Ho fatto il mio aggiustamento strutturale, posso vivere Gisenyi; la prossima tappa, il prossimo traguardo, riguarda l’Africa con la A maiuscola. Penso a un Viaggio… ma questa è (sarà) un’altra storia!

Per ora mi godo bellamente questa domenica pomeriggio oziosa, con lampi e tuoni fuori la mia camera, in attesa di provare il brivido di una doccia da oggi finalmente calda. Anche questa è una gran bella scoperta!

lunedì 5 febbraio 2007

Ius ultimae noctis

Non pensate a me come a un africano. Non pensate che io stia in un posto lontano anni luce da quello che siete, e da quello che fate. Non pensate. Ricordate, ricordatevi di voi, di chi siete, di cosa volete e cosa fate. E pensate che in fondo, ognuno di noi, ognuno di questi abitanti di questo pazzo mondo è, vuole e fa la stessa cosa.

Non serve essere italiani, francesi, americani, cinesi, ruandesi, senegalesi, brasiliani… non serve avere un’appartenenza. Serve essere qualcosa. Serve avere qualcosa dentro, o qualcuno vicino.

Non serve essere italiani per provare quello che si sente a stare vicino ai propri amici, alla propria donna, vicino alla propria famiglia.

Il diritto di ogni uomo di potersi sentire felice a casa sua, non potrà mai essere sancito da dichiarazioni universali tanto efficaci da rendere giustizia al sentimento di sollievo che si prova nella realtà, in questa realtà.

Esistono certe volte nelle quali all’improvviso credi di capire tutto, di avere un’illuminazione fugace: è successo ieri sera, quando all’improvviso mi sono ritrovato in un tavolo di vecchi amici, che hanno smesso per un istante di essere ruandesi, congolesi, africani, per essere semplicemente uomini. E’ come se fossi riuscito a decifrare un codice, come se avendo una chiave di lettura appropriata avessi finalmente capito il perché e il come di tanti comportamenti che fino a un attimo prima ritenevi “differenze culturali”. Tolto lo strato della corazza che ognuno di noi porta addosso, come una specie di divisa, ritrovi le stesse identiche sensazioni in ogni uomo, in ogni parte del mondo. Se per un istante riuscissimo tutti a guardarci negli occhi e a non pensare quello che siamo in funzione di dove abitiamo, di come ci esprimiamo….

Questa compagnia di amici, una come tante possono essercene in giro per il mondo era composta da 4 amici che da più di 15 anni non si rincontravano tutti insieme, e non chiacchieravano del più e del meno. Vivono in quattro angoli diversi del mondo, chi emigrato in cerca di fortuna in America, chi in Italia, chi ha fatto fortuna in Burundi, chi è restato a casa… una casa che era di tutti ma che è scoppiata, che non c’è più, almeno per come la ricordavano loro. E’ la fregatura di crescere: non trovi più le stesse cose di quando eri bambino.

E parlando della loro infanzia, parlando dei casi della vita, con il sorriso sulla bocca hanno parlato del loro amico che non c’è più, l’elemento mancante della compagnia, quello che avrebbe potuto raccontarli tutti. Freddy è morto a 35 anni stroncato da una qualche malattia, che non gli ha dato tregua fino all’ultimo. Ma il sorriso sulla bocca non alludeva alla beffa amara del destino; tra le tante disgrazie che possono succedere, una cosa importava, che Freddy fosse morto nel suo letto. In Africa, in questa parte del mondo, in questo pezzo di terra maledetto, morire nel proprio letto, con la propria famiglia accanto, in pace, è una benedizione. E’ ciò che completa un’esistenza, è ciò che dà compimento all’affanno nel quale siamo costretti a vivere. E sia esso in Ruanda, sia esso in Italia, in Francia, in America, in Cina….

giovedì 1 febbraio 2007

Vivo!

Sono vivo, intento più a vivere che a riflettere. Le cose vanno bene, e sono felice... mi mancate